Recensione Album: Adele - 25


L'immagine di Adele è in costante equilibrio tra il classico ruolo della Diva d'altri tempi e la ragazza della porta accanto. Costeggia la figura di una dea remota e scostante, lontana dagli affari umani, e altra volte sembra la mamma coi capelli sporchi di farina che va a prendere il figlio a scuola.
 A ben vedere, Adele riesce ad fondere entrambi gli aspetti, facendo dell'uno il cardine per l' altro. E' un diva, senza dubbio, e lo dimostrano le fenomenali vendite del suo fortunatissimo 21, ma al contempo è ben lontana dagli atteggiamenti capricciosi di una Mariah Carey o di una Madonna. Piuttosto, Adele è l'effigie della semplicità e della genuinità: mai sopra le righe nel canto, sboccata quanto basta nelle interviste, solare ma animata da una radicata malinconia.


 In pochi anni di carriera ha saputo costruire una profonda connessione con il suo vasto pubblico, permettendo a grandi e piccoli di rispecchiarsi in lei e nelle sue storie. Ed è proprio la sua "aurea mediocritas" a far di lei, trasversalmente, una grande diva. 
 La terza fatica della cantante britannica è ormai sul mercato. Necessitano pochi ascolti per avere un'idea chiara: 25 è un bell'album: ben concepito, ben architettato, ben confezionato. Per molti è anche l'album dei record: in poco più di ventiquattrore, è riuscito a superare abbondantemente la soglia del milione, acciuffando di fatto la numero uno pressoché ovunque. Ciò non fa che marcare ancora più a fondo l'imponenza del ruolo di Adele nel musicbiz mondiale.
 Nasce spontaneamente il paragone con il predecessore, tanto da un punto di vista strettamente commerciale, quanto più a livello musicale. Non emergono grosse divergenze di stile, piuttosto si scorge il completamento di un processo di raffinazione che per l'appunto qui giunge a totale maturazione. Se 21 è l'album del cuore infranto, 25 è l'album della riconciliazione. I pianti disperati e le urla di rancore lasciano spazio ad un denso sapore di nostalgia e ad una consapevole crescita emotiva. Rispetto ai lavori precedenti, questo è un disco con parecchi sprazzi di luce, in cui però si avverte un forte retrogusto di malinconia. 25 suona come un disco classico, di quelli che non può mancare sulle mensole; un album familiare, da sentire in qualsiasi occasione. La coesione intrinseca delle tracce, l'eleganza della produzione e il senso di misura che dominano incontrastati l'intero prodotto, fanno di 25 già un evergreen, un cofanetto di belle canzoni da stonare a squarciagola davanti al fuoco del camino.



Mancheranno pure hit da classifica del calibro di Rolling in the deep o Someone like you, ma non importa: le 11 tracce si snocciolano durante l'ascolto con una fluidità tale da coprire ogni potenziale spiraglio vuoto. Un paio di ascolti, e già paiono tutte tatuate sul cuore.
 Come prevedibile, 25 è pieno zeppo di ballatone strappalacrime, pezzi intimi e ritornelli virali: il disco si apre con la ben nota Hello, che ci ricorda perchè Adele sia così amata, poi ci pensa Send My Love, con Max Martin alla produzione, a scaldare gli animi con il suo beat frizzante ; sicuramente non la tra le più riuscite, ma lo stesso piacevole. I Miss You, ballata dal sapore gotico, si fa strada su un tappeto di percussioni e con When We Were Young si ha l'impressione di ascoltare un classico. Remedy è la tipica piano ballad autunnale da lacrimoni che a tratti ricorda Someone Like You; finito il pianterello, si muove il piedino con un brano pop costruito su una progressione di cori, Water Under The Bridge, pronto a fare sfaceli in classifica. Il punto più alto dell'album è costituito da River Lea e Love In The Dark. La prima è una produzione di Epworth che richiama le migliori cose di Florence and the Machine; il pezzo deve molto alla tradizione gospel, spicca per sonorità poco consuete e per una certa solennità. La seconda è invece una scura ballad dall'arrangiamento orchestrale, travolgente e spiazzante. Una chitarra pizzicata introduce Million Years Ago, in cui la nostaglia torna a farla da padrone, mentre nella traccia successiva, il talento di Bruno Mars regala la splendida All I Ask, dove l'interpretazione della vocalist richiama la scomparsa Whitney Houston. Sweetest Devotion, dolce nenia sulla maternità, chiude l'album in bellezza, lasciando la voglia di riavvolgere il nastro.


 Gli undici brani della versione standard hanno un compito comune, seppur nella loro diversità: gravitare intorno alla calda voce d'altritempi della cantante, che riveste indubbiamente un ruolo principale nell'economia di questo disco ( non diversamente dagli altri, tutto sommato). 25 non spicca per originalità, né per tematiche. In bocca a chiunque altro artista, probabilmente suonerebbe piatto, vuoto, privo di spessore. Ma Adele, il suo modo intimo di confessare i più reconditi pensieri, l'autobiografismo nei testi, donano luminosità e universalità al progetto, rendendolo accessibile ad un pubblico sconfinato, che va dai più piccini ai più grandi. Per certi versi, 25 è anche migliore di 21: più maturo, più equilibrato, nelle tematiche come negli arrangiamenti. Può risultare meno d'impatto per la mancanza di un tema universale come la fine di un amore, ma qui non c'è spazio per album filler, pezzi poco coinvolgenti e cover mal riuscite. Per di più, va detto, il timbro di Adele vibra possente come mai in passato.

Ringraziamo Matteo Zandri per la recensione.



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